Anticamente ogni frazione aveva il forno che era
utilizzato da tutti gli abitanti; solo qualche famiglia particolarmente
benestante ne possedeva uno proprio. Ogni famiglia faceva cuocere
il pane in un giorno stabilito da una arcaica forma di prenotazione,
realizzata inserendo un pezzo di legno in un’apposita fessura situata
nel muro del forno. La sua cottura avveniva poche volte l’anno,
coinvolgendo tutti gli abitanti del paese: in primo luogo occorreva
accendere il forno da otto a quindici giorni prima, fino a quando
i mattoni all’interno apparivano bianchi. Allora si toglieva la
brace e si puliva il forno con un lungo bastone che terminava con
una tela umida. Nel frattempo si preparava la base del pane anticamente
chiamata biga o alvà, ottenuta impastando farina, acqua e aceto,
dopodichè si riponeva l’impasto in una scodella all’interno della
madia. Dopo dodici ore, all’alvà si mescolavano farina, sale e acqua
fino ad ottenere la quntità di pasta desiderata, lasciata riposare
per almeno mezzora coperta con un telo. A questo punto la pasta
si lavorava a forma di micon (pagnotte grosse rotonde) e di micche
(pagnotte), spolverate con farina di semola e lasciate lievitare
per tr quattro ore sull’arcï (coperchio della madia). Infornato
il pane lo si lasciava cuocere al solo calore di rimando del forno
per il tempo necessario, terminata la cottura la tradizione vuole
che il forno venisse nuovamente riscaldato per cuocere i torcet
döss (torcetti dolci), a seguito dei quali venivano infornati i
ghersin ( i grissini) tirati a mano su apposite palinne (assi lunghe
e strette). Al fine di tutto cuocevano per pochi minuti l paste
‘d melia (paste di meliga) in forno ormai quasi freddo.
|